Il tema

I SOGNI DELL'IMPRESA. Visioni, progetti, decisioni




Organicismo.Spesso, nella filosofia e nella sociologia, ricorre l'idea che l'organizzazione sociale somigli a un organismo vivente. A questa tentazione – cui hanno ceduto Anassagora e Platone, Menenio Agrippa e Giordano Bruno, Schelling e Comte, Spencer e Leone XIII – torna, consapevolmente, il nostro Seminario d'Estate che, in questa sua diciannovesima edizione, ipotizza come l'impresa, oltre ad avere un corpo realizzatore e una mente progettuale, abbia anche un'anima capace di sognare.

Cervello e mente. Nel corso dei millenni siamo riusciti a dotarci di un cervello composto da miliardi di neuroni e di reti neuronali uniche per quantità, complessità e funzione, capaci – esse sole nell'universo di tutta la fauna terrestre – di svolgere attività ideative. Questo nostro potentissimo hardware possiede una mente capace di percezione sensoriale, coscienza del tempo, memoria, immaginazione, autoconsapevolezza, apprendimento, intelligenza, creatività, emozioni, stati d'animo, impulsi, inclinazioni, desideri. Essa ci permette di simbolizzare, esprimerci, parlare, ricordare, creare, auto-organizzarci, rappresentare il mondo che ci circonda tramite la letteratura, la pittura, la scultura, la musica, spiegarlo tramite le scienze esatte e quelle umanistiche. Il nostro cervello e la nostra mente, inoltre, non operano isolatamente ma si avvalgono del cervello e della mente dei colleghi, si avvalgono dei libri, delle macchine, dei computer.

Anima. Quando parliamo dell'anima, intendiamo qualcosa che trascende sia il cervello che la mente: intendiamo la nostra capacità di esprimere equilibrio, bellezza, etica, efficienza. Intendiamo la nostra capacità di sognare. Intendiamo tutto ciò che ci fa individui e ci consente di essere “persone”: non un individuo qualunque, ma quell'individuo, quella persona, diversa da tutte le altre. La mente, insomma, è ciò che distingue gli uomini dagli altri animali; l'anima è ciò che distingue quel determinato uomo da tutti i suoi simili. Impresa. Per certi versi, anche l'impresa ha il suo corpo (stabilimenti, uffici, materie prime, componentistica, archivi), la sua mente (strategie, programmazione, organizzazione, studi e ricerche, pubbliche relazioni e comunicazioni, marketing), la sua anima (clima, immagine, estetica, missione, valori, coesione, equilibrio, saggezza, emulazione).
Anima è una parola femminile come femminile è la parola impresa. Anima trasforma un gruppo secondario, freddo, strumentale in gruppo primario, caldo, espressivo. Anima è una presenza viva, emotiva, armoniosa che, a sua volta, conferisce all'impresa vitalità, unità, profondità, femminilità, fecondità, emotività, efficacia. Anima è visione e missione rivolte al futuro, alla procreazione, alla crescita, alla formazione, alla bellezza. Anima è fantasia, potenzialità, sensibilità, androginìa, simbolicità. Anima è creatività felice. Anima è sogno.

Ma come può sognare, nell'attuale fase postindustriale, un'impresa in cui le attività intellettuali sono prevalse su quelle manuali, l'azienda si è smaterializzata, le officine hanno ceduto il posto agli uffici e ai laboratori di ricerca, l'appartenenza del lavoratore a un'impresa è diventata così fugace da recidere ogni legame affettivo? Come può sognare un'impresa postindustriale in cui il corpo è atrofizzato fin quasi a scomparire, la mente è diventata ipertrofica, l'anima è vanificata?

Il recupero dell'anima. L'impresa ha smesso di sognare. Ma se l'anima di un'impresa presiede alla felicità di chi vi lavora, occorre rivitalizzare quell'anima che l'organizzazione postindustriale ha mortificato a favore della mente. Occorre recuperare emulazione ed emotività, soggettività e solidarietà, etica ed estetica, amicizia, amore e convivialità, leggerezza e gioco. Soprattutto occorre recuperare la capacità di sognare. Un'impresa fatta di guerrieri in doppiopetto, punti dal demone dell'attivismo, assillati dal lavoro come categoria onnivora, compiaciuti dei loro ritmi stressanti, tesi fino allo spasimo verso l'eliminazione del concorrente, nemici a tutti gli altri e, in fondo, anche a se stessi, è un'impresa senz'anima, senza gioco e senza felicità. E' un'impresa senza sogni.

Occorre dunque alimentare l'anima dell'impresa: giovane, giocosa, curiosa, ottimista, intraprendente, impertinente, solidale, fantasiosa. Occorre ricominciare a sognare. Occorre trasformare l'impresa in un giardino dei sogni che esige cure delicate e incessanti. Come esorterebbe Voltaire: “Il faut cultiver nôtre jardin”.

Vision, mission, dream. I grandi imprenditori, da Ford a Olivetti, hanno parlato della loro esperienza come della realizzazione continua di un sogno sempre mutevole. Con i loro sogni, si sono intrecciati quelli dei loro manager, dei lavoratori, dei sindacati, dei consumatori. Vision, mission, strategia, sono termini che confinano con il concetto di “sogno” e freddamente lo evocano. Sappiamo che l'umanità, nel lungo percorso della sua evoluzione, ha continuato a inseguire caparbiamente alcuni sogni: liberarsi dalla miseria, dalla fame, dalla fatica, dal dolore, dalla bruttezza, dalla noia, dalla tradizione, dall'autoritarismo, dalla morte. Ma cosa sognano le imprese? Cosa sognano del loro futuro, delle loro tecnologie, dei loro prodotti, dei loro mercati, della loro identità? Cosa fanno per tradurre i loro sogni in realtà? Che significa disegnare un'organizzazione in funzione di un sogno imprenditoriale? Perché, a volte, i sogni delle imprese degenerano in incubi per migliaia di persone e gli entusiasmi si trasformano in angosce? Il progresso tecnologico, lo sviluppo organizzativo, la globalizzazione, la concorrenza, la longevità crescente, la scolarizzazione diffusa, hanno modificato i sogni dell'impresa? Hanno alimentato più paure o più speranze?